Nella Lombardia austro-ungarica, in piena Restaurazione, l'amministratore di una fiorente azienda agricola scrive al suo datore di lavoro, un conte veneto residente a Milano, informandolo sull'andamento dell'agricoltura e sulla vita di campagna. Dalle lettere emerge un'illuminante spaccato della società rurale del tempo.
Un settantasettenne, commendatore della repubblica e cavaliere di Vittorio Veneto, ossessionato dall'idea della morte, si uccide sparandosi un colpo di rivoltella. Poco tempo prima confidava al suo diario: "è in me un processo involutivo. Meno interesse per quanto avviene e mi circonda, meno voglia di dire e fare."
Un "ragazzo del '99", ormai in pensione, combatte la solitudine collezionando vini pregiati e scrivendo: a un diario confida l'insofferenza nei confronti della terza moglie, "donna rozza e ignorante" incapace di manifestargli affetto, e il dolore per la scomparsa degli amici con cui ha condiviso gli episodi più importanti della sua movimentata vita. Sempre più annoiato, morirà suicida a settantaquattro anni.
I ricordi di un bambino, figlio di un commerciante di vino: la Torino pre-bellica, le campagne, la scuola, l'inaugurazione della ferrovia, la vendemmia, un incontro casuale con un certo Mussolini, fervente socialista, e gli anni della guerra.
"Dopo queste serate movimentate dalla musica, dai balli, dalle profonde discussioni intellettualistiche. Tornavamo a casa. Mai senza fare all'amore". In queste parole si sintetizza un piccolo spaccato degli anni del benessere, quando molteplici possibilità si presentavano per quanti fossero dotati di ingegno e voglia di fare. Impegno politico e sindacale, attività lavorative, divertimenti, dispiaceri, passioni, contraddizioni e amori si intrecciano nella vita dell'autore, in periodi gravidi di speranze e di sogni in cui tutti anelavano ad un avvenire migliore.