Siamo nel 1987, Natalia, musicista e laureata in lingue, si trova nella Comunità di San Patrignano diretta da Vincenzo Muccioli e da lì scrive delle lettere alla madre, al fratello, agli amici. Il suo riemergere dal tunnel della droga è netto e faticoso e sembra un percorso infinito, irto com’è d’improvvise cadute e lente risalite.
Alla madre scrive: “Dear mammy, qui va bene, sì si sta bene, anche in famiglia stavo (anzi, sarei potuta) bene, se avessi cambiato il mio modo interno di pensare. Tanto non avrei mai potuto apprezzare niente, perché il tossico è votato al nulla”. Poi, piano piano il recupero sembra compiuto, le lettere di Natalia mutano di tono,...
Dopo tre anni trascorsi a San Patrignano, portato in carcere a Rimini per finire di scontare una pena, descrive la fatica per rimanere lucidi nel mondo violento e paradossale di un reclusorio, dove bisogna battersi con tutte le forze per respingere la droga offerta a muso duro da altri detenuti.
Un'insegnante in pensione, ripercorre episodi del proprio passato: un'infanzia serena e agiata, gli studi universitari e la carriera lavorativa. L'arrivo della guerra e le ristrettezze improvvise influiscono negativamente su di lei, aumentando la dedizione al lavoro e l'amore per la cultura. Rimasta vedova continua l'attività di volontariato presso la comunità di San Patrignano.
Un giovane genovese vissuto per anni in una comunità annota in un diario i suoi pensieri, le sue giornate, le paure per il futuro e le fragilità. Ripete anche le esortazioni dei vari operatori psicologici che lo seguono. Lo scritto è lo specchio di un percorso di maturazione esistenziale di un ragazzo con fragilità.